Nel suo libro Planet of Slums (Il Pianeta degli Slum, cioè delle baraccopoli) il giornalista Mike Davis stima che nel mondo esistano oggi oltre 200.000 baraccopoli, con una popolazione che può variare dalle poche centinaia alle migliaia di abitanti. La differenza che separa mondo per così dire Occidentale e paesi in via di sviluppo è naturalmente immensa, ma l’Europa non resta estranea al fenomeno.
Punto fondamentale dell’analisi del libro di Davis è quello che riguarda l’origine storica delle baraccopoli: non sono sempre esistite, ma sono cresciute rapidamente a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo. La ragione? L’abdicazione da parte dello stato al fornire soluzioni abitative accessibili ai più bisognosi, in favore di logiche di autodeterminazione fondate di volta in volta su giustificazioni differenti: dall’abuso della prospettiva dell’autoimprenditorialità, alla criminalizzazione delle fasce più povere della popolazione, alla tutela della comunità.
Tale linea di sviluppo del fenomeno delle baraccopoli – ruolo attivo dello stato nella riproduzione di ineguaglianze e fallimento nel fornire soluzioni abitative appropriate – non è dissimile da quella che riguarda un contesto a noi più vicino rispetto, per esempio, alle favelas di Rio de Janeiro. Dinamiche simili sottostanno infatti, in Italia, alla creazione del cosiddetto “sistema campi”: spazio fisico e politico di segregazione ed esclusione sociale delle comunità Rom. Il nuovo Ashoka Fellow Carlo Stasolla, fondatore di Associazione 21 Luglio, lavora per smantellare questo sistema.
Cambio di paradigma
“Il sistema campi è un mostro urbano, fondato sulla discriminazione istituzionale. L’Italia ha speso più di qualsiasi altro paese in termini di risorse sia economiche che umane per costruire i campi, che sono luoghi di segregazione”, spiega Carlo – che del sistema campi ricostruisce l’origine: “I campi nascono negli anni Ottanta, quando si è iniziato a dire che i Rom sono nomadi per cultura. Si diceva: i Rom sono nomadi e vogliono i campi, amano e vogliono vivere in questo modo”. Di fatto, la giustificazione culturale è servita al sistema istituzionale italiano per sancire l’esclusione sociale delle comunità Rom, incoraggiando la creazione e il perdurare del sistema campi attraverso investimenti economici, anziché lavorare sulla loro inclusione in un sistema di welfare abitativo.
“Noi abbiamo abolito l’utilizzo dell’espressione ‘cultura Rom’, per eliminare la giustificazione culturale al sistema campi. Da una parte infatti si dice: dobbiamo evitare la cultura Rom, quindi teniamoli a vivere nei campi. Dall’altra si dice: dobbiamo salvaguardare la cultura Rom, quindi non dobbiamo farli uscire da lì. Perfino molte associazioni Rom cadono in quest’ultima trappola”. Quello che Associazione 21 Luglio propone è un vero e proprio cambio di paradigma nell’approccio al problema: "Quando si parla di desegregazione abitativa, la parola cultura deve essere eliminata. Perché nei campi vivono persone discriminate in povertà. L’approccio deve essere quello dei diritti umani, non quello fondato su una presunta diversità culturale"
“Oggi in Italia lavoriamo per abbattere il sistema campi e includere le persone”.
Associazione 21 Luglio nasce nell’aprile 2010, a seguito della sottrazione di una bambina alla sua famiglia da parte delle istituzioni per darla in adozione. Nasce quindi, inizialmente, per tutelare i diritti dell’infanzia: “Un minore Rom ha infatti sessanta probabilità in più di venire adottato rispetto a un minore non rom”, spiega Carlo. L’approccio culturalista legato alle condizioni di vita delle comunità Rom diventa infatti origine di discriminazione da parte delle istituzioni: “L’idea è che il bambino venga salvato sottraendolo ai genitori. Anziché intervenire per modificare il sistema campi, si ritiene che i Rom abbiano una cultura così irriducibilmente diversa che non ci siano possibilità di recupero, e si investe quindi sulla rieducazione dei minori”. Se anziché la lente culturale si adotta quella dei diritti umani, si capisce come la sottrazione di un minore a una comunità Rom sia un approccio cieco alle condizioni strutturali che determinano le condizioni di vita nei campi. Ecco perché è necessario un cambio di paradigma.
Approccio innovativo
Dal 2015, attraverso il lavoro di Associazione 21 Luglio, il numero di abitanti del campo di via di Salone, nel quartiere di Tor Bella Monaca, a Roma, è sceso da 1200 a 600 persone. Questo risultato è anche frutto del nuovo approccio di Associazione 21 Luglio al problema, fondato sul paradigma della tutela dei diritti: “Abbiamo semplicemente dato un sostegno all’accesso ai servizi. Con Associazione 21 Luglio non svolgiamo lavoro assistenziale, ma spingiamo le persone a rivendicare i loro diritti e ad accedere ai servizi. Non facciamo altro che far sì che anche le comunità Rom possano avere accesso ai diritti che spettano loro”.
Associazione 21 Luglio lavora su tre livelli: quello nazionale, quello della città di Roma e nel quartiere di Tor Bella Monaca. “E lavoriamo con un approccio sistemico, coinvolgendo tutti gli attori che ruotano intorno al sistema campi: l’accademia, i giornalisti, i decisori politici, le comunità Rom e l’opinione pubblica.
Oltre al lavoro di empowerment delle comunità Rom, Associazione 21 Luglio produce rapporti che promuovono una visione sulle condizioni dei Rom alternativa a quella ufficiale - “Per esempio, fin dagli anni Ottanta si diceva che i Rom sono i nomadi, che non è vero”. Un’attività che incide fortemente sul quadro delle politiche pubbliche, se si pensa alle giustificazioni usate per sostenere il "sistema campi". L'organizzazione di Carlo Stasolla, attualmente, produce rapporti ombra a quelli del governo italiano sia le Nazioni Unite che per la Commissione Europea. Svolge inoltre attività di advocacy: “Lavoriamo anche con chi sembrerebbe impossibile collaborare. Se ad esempio avremo un governo non amico dei Rom, dovremo comunque cercare di essere convincenti. Per esempio facendo capire quanto sia dispendioso il sistema campi, anche se lo scenario di oggi è molto preoccupante e il sistema campi è un po’ la cartina di tornasole di tutto ciò che cambia a livello politico. Dobbiamo fare alleanze con i nemici, piuttosto che con gli amici. Per noi è stato fondamentale decidere dall’inizio di non accedere a finanziamenti pubblici locali – questo ci permette di intraprendere una critica senza che le nostre attività subiscano ripercussioni”. Una lavoro che produce risultati tangibili: “Siamo riusciti a spostare somme che erano destinate ai sistemi campi. In alcuni casi queste somme sono state bloccate, altre volte sono state destinate al sostegno di politiche inclusive”.
A completare la triade su cui si sviluppa il lavoro di Associazione 21 Luglio è l’attività di sensibilizzazione, che viene svolta sempre sui tre livelli nazionale, locale e di quartiere. A Tor Bella Monaca, l'organizzazione lavora "con persone Rom e non Rom, per creare una alleanza. Spesso ci si fa la guerra tra poveri: tra chi vive in periferia e chi nel campo nella periferia. Noi invece cerchiamo di creare alleanze, di radunare insieme italiani e stranieri, Rom e non Rom”. Si tratta di un approccio particolarmente innovativo, in quanto sposta il focus dalle mere comunità Rom a dinamiche interne alla società più ampia: “Sia nel pubblico che nel privato sociale, quando si parla di interventi sui Rom si parla sempre e solo di Rom. Invece noi adottiamo sempre un intervento misto. E la risposta del quartiere è molto positiva. Quando ci si guarda negli occhi, le persone non vedono più l’etichetta che appiccicano agli altri e il rapporto diventa costruttivo”.
Un approccio replicabile ovunque
Associazione 21 Luglio è presente anche in altre città italiane, per esempio a Torino e a Napoli. “Ma l’approccio è valido ogni volta che si ha a che fare con comunità svantaggiate, anche altrove. Ogni volta che si guarda alle condizioni di una comunità svantaggiata come a un'entità culturale diversa, si crea una situazione pericolosa. La cultura viene usata per giustificare politiche come il sistema campi”.
La cultura è una tra le giustificazioni che vengono adottate nel mondo per legittimare a livello sociale situazioni che sono in sostanza di discriminazione e povertà. L’approccio di Associazione 21 Luglio – l’adozione del paradigma dei diritti umani e l’interazione con gli attori del sistema che ruota intorno ai "campi" – è valido in contesti e paesi di tutto il mondo. La storia di impegno di Carlo Stasolla parte proprio da questo riconoscimento: "Inizialmente, da ragazzo, volevo andare in Sud America, per lavorare nelle favelas con le comunità vittime di un sistema ingiusto. Poi ho scoperto che esiste un sistema ingiusto e poco conosciuto nel nostro sistema istituzionale: ho scoperto le favelas italiane”.